La musica

I primi incontri musicali, le canzoni che ascoltavo da ragazzo, e che riascolto con commozione, perché mi fanno fortemente rivivere momenti che mi sono rimasti dentro. La grande musica, il linguaggio che sento profondo e necessario, aiuta a vivere e, senza retorica, giunge a momenti di sublimazione.

Non avendo potuto -se non raramente -frequentare le sale da concerto e i teatri, sono però riuscito ad avere una buona raccolta di dischi, più di trecento.

Prediligo la musica sinfonica e da camera, meno l’operistica, se non alcune ouvertures e romanze. I nomi da fare sono quelli che tutti conoscono, e sono tanti, ma al di sopra di tutti ci sono i giganti come Bach, Mozart, Beethoven, Brahms. Di Bach preferisco La passione secondo Matteo; di Mozart Requiem K 626, per soli, coro e orchestra. Beethoven è quello che più mi “scuote”, e non solo per le sue grandi sinfonie e le celeberrime sonate per pianoforte, ma anche per la profondità degli ultimi cinque quartetti. Di Brahms mi piace riascoltare la Terza sinfonia in fa maggiore, op. 90. E di lui anche le Danze ungheresi. Altre preferenze vanno a Vivaldi (Gloria in re maggiore per soli, coro e orchestra), Smetana (La Moldava), Dvoràk (Dal nuovo mondo), Grieg (Peer Gynt), Debussy (Prélude à l’après-midi d’unfaune), Sibelius (Finlandia), Ravel (Bolero), Bartòk (Suite di danze).

Per la musica operistica riascolterei sempre il Lamento d’Arianna, monologo di un’opera andata perduta di Claudio Monteverdi.

La musica entra in noi, c’è anche quando non l’ascoltiamo, concorre alla creazione di una necessaria armonia di sentimenti. È anche nella poesia, il cui ritmo non può essere scandito solo dall’accento metrico.