Cinema e Arte

Avrei potuto aggiungere: “e teatro”; ma avendolo poco frequentato nelle rappresentazioni sceniche, non ne voglio dire. La mia cultura dell’arte drammatica si è formata con la lettura dei testi, dai tragici greci ai moderni (per me al di sopra di tutti c’è Anton Cechov). Del cinema non sono mai stato un assiduo frequentatore, anche se ho cercato di non perdere la visione dei film più importanti.
Buster Keaton è per me uno dei grandissimi, per il suo surrealismo lucido e coinvolgente; la sua “angoscia comica” tocca vertici assoluti. Di lui mi è piaciuto tutto e, più di tutti, Il navigatore.
Charlie Chaplin, sì, La febbre dell’oro e Tempi moderni.

Quarto potere di Orson Welles, mi ha preso per l’efficacia con cui esprime – talvolta con accenti espressionistici – lo sradicamento di umanità quando a prevalere sia un inesorabile ingranaggio del profitto. Non dimenticherò mai che Charles Foster Kane, il protagonista, magnate e miliardario, muore mormorando “Rosebud”, che poi si rivelerà essere il nome dello slittino dell’infanzia. Grande poesia.
In Ingmar Bergman incontriamo incomunicabilità e scavo in psiche insondabili, attraverso un simbolismo presente ma non forzato; lo scorrere del tempo lo avvertiamo con ansia sottile nel Posto delle fragole, parabola della vita dell’uomo; lo spegnersi del rapporto tra l’uomo e la sua fede è in Luci d’inverno; un destino di nevrosi collettiva è l’inesorabile presenza di Sussurri e grida.
Ingmar Bergman, forse il più grande della storia del cinema.

ARTE

Ho sempre sentito il bisogno del cosiddetto “godimento estetico”, come contemplazione della bellezza, poi col tempo ho voluto approfondire, giungere a una conoscenza più completa, che tendeva alla fruizione dell’opera d’arte nella sua totalità, così da sentirne ancor più la necessità.
Per un buon periodo ho letto libri di storia dell’arte, e su singoli artisti, scuole, stili. Mi ha sempre particolarmente interessato la pittura, un po’ meno la scultura e, più di questa l’architettura.

…… Numerose le mostre visitate, e tra queste le due più importanti sono state quelle di Picasso a Milano, nel 1953, e quella di Morandi a Bologna nel 1990.
E non devo elencare tutti gli artisti che mi hanno interessato e mi interessano, e così dirò pochissimo di pochi; e non, per esempio, di grandi e grandissimi come Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Caravaggio…
Fin dai libri di scuola ho “preso l’abitudine” a Giotto, figure in bianco e nero che mi piaceva rivedere frequentemente. Direi che sono partito da lì per appassionarmi al disegno prima e alla pittura poi.
Antonello da Messina mi ha sempre attratto per la forza espressiva dei suoi ritratti, che ci danno fermezza di tratti, quasi simboli, ma simboli attivi, in movimento, del sorgere di un’epoca moderna.

…… È del Mantegna l’opera che più mi emoziona e coinvolge, e personalmente sento al di sopra di tutte: trattasi del Cristo morto. Vorrei dire che non c’è niente di più universalmente potente di quella morte, energia drammatica. E la stessa nostra pietà è cosa forte, che ci anima.
Mi sono accostato a Albrecht DUrer avvertendone magneticamente il genio che ci presenta esperienze nuove, scopre nuovi aspetti del reale, anche in chiave lirica.
Mi sento vicino all’arte fiamminga, che ci dà conoscenza di vita pratica, ci ricorda il suo valore, senza ricorrere ad artifici di sublimazione .….. Forse può bastare l’affermazione di André Malraux: “Il mondo diventato pittura”. Un realismo che coinvolge psicologicamente.
E voglio ricordare La lavandaia del francese Honoré Daumier. Il Non si può esprimere meglio l’amore di una madre per la propria creatura, con quel gesto di aiuto e protezione nel tenere la mano della bambina e nel guardarla, pur nella fatica di salire le scale con l’involto dei panni sotto il braccio sinistro. E uno di quei casi in cui si può dire che l’arte esprime l’essenza della vita.

E voglio ricordare anche un’opera di Jean-François Millet, che mi prende tanto come se vivessi dentro a quel dipinto: Limitare del bosco a Barbizon d’inverno. Quell’opera mi dà un’indicibile emozione; in quasi tutto il resto vi avverto troppo sentimentalismo.
Sappiamo che all’inizio dell’arte moderna c’è l’impressionismo, movimento di rottura con la pittura adagiata nella convenzione accademica tardo-romantica. La luce, l’atmosfera e il colore immettono sulla tela il lirismo del fuggevole presente. Questa pittura all’aperto mi fa vivere emozioni che, in modo naturale, ho sempre sentito mie. Per questo ringrazio Manet, Monet, Degas, Renoir, Sisley, Pissarro, Seurat, Cézanne.
Influenzato dall’impressionismo e precorritore dell’espressionismo – ma vero gigante originale e solitario – Vincent Van Gogh direi di averlo vissuto nei suoi splendori e nelle sue angosce. Per capire il suo – solo suo? – dramma di uomo ci basta un dipinto come Campo di grano con corvi.

C’è un quadro del surrealista René Magritte che fisso quasi con sgomento, che mi obbliga a cercare il mondo dell’inconscio: è L’impero delle luci, capolavoro assoluto. Viene da pensare che l’arte possa varcare confini ancora sconosciuti.
Qui il grande Pablo Picasso lo ricordo solo per Guernica, un’opera dai toni altissimi, di intensa denuncia del bombardamento tedesco della cittadina spagnola. Violenza e brutalità che va oltre l’episodio. La forma e il segno solo nero, bianco e grigio esprimono la crisi della civiltà. Lo sconvolgimento della rappresentazione è realistico e simbolico nello stesso tempo.

…… Devo confessare un debole per l’Ottocento italiano, per certi suoi paesaggi e figure. Qui c’è forse una nostalgia per un mondo che nella mia infanzia ancora sopravviveva. Mi piace soprattutto guardare dipinti come La visita, Il pergolato (o Un dopo pranzo) e Il canto dello stornello del macchiaiolo Silvestro Lega.
Del Novecento italiano prediligo due nomi: Modigliani e Morandi.

Amedeo Modigliani lo sento lirico gentile e penetrante, sempre sofferto, mai compiaciuto. E vivo le sue inquietudini e le sue esaltazioni. Giorgio Morandi lo guardo in silenzio, per i suoi colori trasparenti e i toni delicati. Lo sento come il maggiore del nostro Novecento. Un’opera sua, Cortile di via Fondazza, mi ha abbagliato. L’espressività è assoluta: per raggiungerla bisogna unire sensibilità e rigore. La vita, il mondo, potrebbero essere così se non li uccidessero l’egoismo e la stupidità.

Di Antonio Corpora mi emoziona la fusione di luce e colore, conseguita con una scomposizione degli oggetti. Ho avuto la fortuna di vedere, e sentire profondamente, molti suoi capolavori esposti a Cervia.

Infine devo dire la mia passione per le icone, tanto da essere andato a Roma per visitarne una mostra di russe del Sei-Settecento. Un’icona, dono di un amico, è appesa nella nostra camera da letto.

Ho anche avuto la fortuna di avere amici artisti, dai quali ho appreso alcune cose del mestiere: Manlio Guberti, ravennate che viveva nei pressi di Roma, pittore di fama internazionale; Gino Guerra, anche lui romagnolo, portatosi verso la capitale, scultore di buona valutazione; Giuseppe Maestri, ravennate, acquafortista: la sua arte porta il segno di un sogno bizantino; Riccardo Righini, castiglionese, giovane già affermato. Nelle loro opere, che mi hanno donato, respiro l’amicizia, lì racchiusa e li manifestata.